The mule.

Un film asciutto ed essenziale o banale e ripetitivo (a seconda dei punti di vista) che nasconde una profonda riflessione sulla morte.

di Emiliano Baglio 21/02/2019 ARTE E SPETTACOLO
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A seconda dei punti di vista The mule, ultima fatica di Clint Eastwood regista (e qui di nuovo attore), può essere vista come un passo indietro o come la naturale prosecuzione del discorso già avviato in Ore 15:17 Attacco al treno (http://www.euroroma.net/6657/ARTE%20E%20SPETTACOLO/ore-1517-attacco-al-treno-eastwood-ancora-una-volta-si-mette-in-gioco-sperimentando-nuove-strade-espressive.html).

Come nel precedente film, la sostanza sembra prendere il soppravvento sulla forma.

Così si può giudicare The mule come un film asciutto ed essenziale oppure come un’opera banale e ripetitiva.

Stavolta, in questo film tratto da una storia vera, ciò che sembra interessare Eastwood è riflettere su cosa sia veramente importante nella vita.

Il suo personaggio, Earl Stone, è un uomo che ha sempre anteposto il lavoro (la coltivazione degli emerocallidi) a tutto il resto tant’è che è divorziato da anni e la figlia (come in Million dollar baby) non gli parla più.

Quando il commercio online metterà in ginocchio la sua azienda il nostro si ritroverà a fare il corriere per degli spacciatori.

Nonostante i suoi modi rudi ed il totale menefreghismo con cui porta avanti le sue missioni riuscirà a guadagnarsi la fiducia persino del boss Laton (Andy Garcia) finendo col trasportare quantità di droga sempre più importanti.

Di viaggio in viaggio Earl, complice alla fine la malattia della sua ex moglie (una grandissima Dianne West), capirà che non è troppo tardi per porre rimedio agli errori di una vita prima che gli agenti della Dea (Bradley Cooper, Michael Peña e Laurence Fishburne) lo arrestino.

Apparentemente Eastwood porta avanti una malinconica riflessione sul tempo che passa, mettendo in scena l’ennesimo personaggio fuori dal tempo che non comprende la contemporaneità (ad esempio l’abuso dei cellulari).

Abbiamo a che fare, ancora una volta, con un uomo apparentemente politicamente scorretto che usa ancora la parola negri, senza peli sulla lingua, sconfitto dalla vita.

Eastwood sembra volerci dire che dobbiamo fare attenzione a non perdere di vista ciò che veramente conta nella vita, in primo luogo quegli affetti familiari che erano già al centro di Gran Torino.

Il resto, in quest’ottica appare pure contorno e presenta le caratteristiche tipiche del pensiero del regista/attore.

Il suo è un personaggio evidentemente fortemente autobiografico, al punto che ad interpretare la parte della figlia di Earl c’è Alison Eastwood.

Così, a dispetto di chi lo vorrebbe imprigionato nello stereotipo del repubblicano, Eastwood/Earl ha dei dipendenti messicani con cui ha ottimi rapporti, si interessa alle vite dei suoi nuovi datori di lavoro e stringe una sincera amicizia con loro ed i soldi che guadagna li spende anche per aiutare gli amici in difficoltà o per rimettere in piedi l’associazione dei reduci di guerra.

E quando incontra un gruppo di motocicliste lesbiche non batte ciglio.

Però la storia è troppo schematica e spesso si riduce ad una serie di viaggi uno dopo l’altro mentre i personaggi di contorno appaiono come pallide macchiette sfocate.

Questo senza voler tenere conto di alcune assurdità, ad esempio la sequenza in cui gli agenti sono alla caccia di un pick-up nero e giunti al motel dove dorme Earl, non si preoccupano di perquisire tutte le auto.

Per tacere delle scene imbarazzanti dove il nostro simpatico vecchietto si porta a letto donne a pacchi di due alla volta, anche se forse quest’ossessione per il sesso è tipica della senescenza senile.

Perché alla fine, dietro il tema dei legami familiari e della loro importanza, che da sempre attraversa il cinema di Eastwood (si pensi ad Un mondo perfetto) il vero cuore di The mule è un altro.

Il nostro sospetto è che Clint, mettendosi in gioco come attore di un suo film dopo 10 anni di assenza, abbia voluto realizzare sostanzialmente un film su sé stesso.

Il centro della sua ultima opera diventa così il suo corpo anziano ed asciutto, le vene in bella vista, le mani ossute e bianche, il passo incerto, la voce cambiata (abbiamo visto il film in versione originale), la schiena leggermente curva.

Forse The mule, non sappiamo quanto consapevolmente, è un film sulla morte all’opera, in cui il corpo di Clint è il mezzo attraverso il quale riflettere sui segni del tempo che passa e che lascia su di noi come tracce di memoria di un’intera vita mentre la fine si avvicina inesorabile (e speriamo il più tardi possibile).

Non resta dunque che uscire di scena, come nell’ultima inquadratura, lentamente ed ieraticamente, allontanarsi discretamente così come facevano una volta i cowboy dei suoi western mentre cavalcavano verso l’orizzonte.

 

EMILIANO BAGLIO


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